CIBI E LE ARTI
 
 

IN PRINCIPIO FU LA LAGANA

Facile da cucinare, non è vero che fa ingrassare, mette allegria e riunisce sempre tutti intorno alla tavola. E' la pasta. Il piatto nazionale, che fa grande la cucina italiana in tutto il mondo.

E anche i maccheroni hanno la loro storia.
In principio fu la lagana, una larga sfoglia di pasta di farina e acqua, ora tonda ora squadrata, tutta sottile e probabilmente tirata a mano con il laganaturo, strumento di legno antenato del nostro matterello.

Lagana simile assai a quel laganon greco, di cui parla Ateneo nel Convivio dei Sapienti, o al laganum, che il romano Apicius cucinava infarcito di carni, mentre il poeta Orazio mangiava cotto nel brodo con porri e ceci. E poi vennero i trya o trii striscioline sempre più esili ricavate dalla stessa matrice: la lagana. Che fu bobba, cioè guazzabuglio, per gli abitanti del Sud. Lagana bobba, proprio perché impasto di farina di grano tenero, si e no rassodato dalle uova, come è d'uso, invece, al Settentrione.
Mastri lasagnari al Nord, quindi, come quei tali Pietro Embriaco e Giovanni Bortolotto, che si imbarcarono sulla galea di Paganino Doria a Genova nel lontano 1351 per preparare pasta fresca all'equipaggio durante la navigazione.
Maccaronari, al Sud dove il clima, l'acqua, i campi e la cura dell'uomo avevano selezionato e fatto progredire la coltivazione di quel grano duro, il triticum durum, da cui si ricava la semola, così differente dalla tenera siligo, triticum aestivum, che genera la bianca soffice morbida farina.
Nacquero, così, i maccheroni, dapprima vermicelli, rudimentali edibili legacci o vermicula e poi fidelini, spessi più o meno quanto il crine di graziosa giovincella e poi zite, mafalde, mezzani, mezzanelli, perciatelli, fusilli forgiati così, in tutte le forme, nell'impasto di semola di grano duro,dalla trafila di bronzo e lasciati essiccare lentamente sulle canne stese al sole dai maccaronari del Sud napoletani, pugliesi, siciliani. Maccheroni, dunque, non bobba guazzabuglio, ma sinonimo di felicità e allegria, come cerca di precisare, definendone a suo modo l'etimologia, l' abate Galiani nel suo Vocabolario di fine ‘700: ”Maccheroni, notissimo lavoro di pasta, e piatto proprio del Paese, dal greco makarios, felix.”
E inoltre, aggiunge l'Abate, sinonimo di beato, soddisfatto per il bell'umore, come quelli che giungono sulle sponde dei Campi Elisi, in quell'Isola dei Beati, che non c'è, che è fola fantasia leggenda, ma che in lingua ellenica è il Nesos Makaron, sì makaron, tanto foneticamente simile a maccarone.


Quella Cuccagna,cioè, che il re Borbone offriva al suo popolo per ricreazione, per farlo rinascere e contrastare la fame antica, per riempirgli la pancia più di quanto proclami e sermoni fossero capaci di riempire l'animo. Proprio per questo i maccheroni, a partire sin dai primi decenni del 1600 già prodotti in maniera quasi industriale, grazie all'uso della gramola o del torchio prima, e dell'ingegno meccanico poi, essendo divenuti un alimento disponibile e conservabile per gran parte dell'anno, rappresentarono il vero antidoto della fame sul misero desco delle genti.
Cosicché della pasta cominciarono a interessarsi letterati, filosofi e poeti.
E quando Alexandre Dumas nel 1864, ebbe modo di scrivere: “Se conoscete la mia ricetta di maccheroni, è come se conosceste la musica di Porpora, Paisiello, Pergolesi e Cimarosa, senza suonarla” intuiva, d'altra parte, che della pasta potessero interessarsi anche i musicisti. Da letterato e gastronomo egli stesso testimoniava come, diversamente da quanto accaduto per gli altri alimenti, intorno alla pasta nel corso del tempo si fosse sviluppata una vera e propria letteratura di genere tanto ampia da non essere tuttora completamente raccolta.
Mentre odi, cicalate, capitoli e dialoghi celebravano lasagne e maccheroni accadeva finanche che qualcuno giocasse con le parole sulla pasta e le mettesse in musica. Si sviluppava così un vero e proprio filone musicale arricchitosi di arie e canzoni narranti le glorie gastronomiche di questo cibo, il suo potere seducente e fascinoso, la sua capacità di generare gioia, piacere e beatitudine in chi ne mangiasse.

Non sorprende, perciò, che un severo ed austero musicologo, maestro finanche di Mozart e Jommelli, qual era il Padre Giovanni Battista Martini (Bologna 1706-1784) componesse questo canone a tre voci:
Come son boni li macheroni!
Voi che ascoltate voi ne mangiate
Al color al sapore
Mi par che ne mangiate a tutte l'ore
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E neppure sorprende che Vincenzo Giuseppe Mela (Isola della Scala 1821-Cologna Veneta 1897) musicasse un vera e propria opera lirica in un atto, L'alloggio Militare, tutta incentrata su eros e maccheroni, mentre il suo maestro Giuseppe Verdi era tutto intento a comporre opere in cui amore e morte erano, invece, un binomio indissolubile.
Segno concreto di come la fame, il buon cibo, il mangiare, l'amore, la passione, l'eros, la seduzione, il piacere e la beatitudine da eterne ossessioni, quasi, sono riuscite a distinguere e unificare il rapporto cibo - parola e cibo – musica in una serie di relazioni metaforiche, che trasformano il cibo in oggetto-simbolo di vita, di felicità e di benessere.

a cura di
Tommaso Esposito - Medico di famiglia -Napoli