CIBI E LE ARTI
 
 

IL PRESEPE È SOPRATTUTTO IL TRIONFO DELLA GOLA.

Non è soltanto il fascino misterico della nascità di Gesù, la stella cometa, il tenero afflato del bue e dell'asinello, il sommesso stupore dei pastori, il sonno di Benito o la regale adorazione dei Magi.

Il presepe è soprattutto il trionfo della gola.

E' la storia delle osterie, delle botteghe, delle cibarie del popolo lazzarone e dei lussuosi convivi allestiti nelle dimore dei principi, dei marchesi e dei baroni a Roma, ma soprattutto a Napoli. Lo aveva notato già agli inizi del 1800 P.J. Von Rehfues nella sua descrizione del viaggio in Italia, quando scrisse: << I presepi sono una particolare espressione artistica; la maggior perfezione è raggiunta a Roma e a Napoli e talvolta anche altrove. Si tratta di una plastica rappresentazione degli avvenimenti verificatisi quando nacque il Redentore che viene attuata in molte case nel tempo di Natale.>> E singolarmente questi avvenimenti sono stati rappresentati soprattutto come theatrum delle cibarie.

Taverna
Giuseppe ed Alfredo Scialò, arte presepiale Napoli  stile 700

AIAP Napoli

Il presepe, infatti, a ben guardarlo, appare come una grande tavola imbandita. E' una “summa gastronomica” in cui hanno valore insieme alla scena, anche i particolari: quarti di manzi, testine di vitello, salsicce e soppressate, formaggi ed ortaggi, fiori e frutta, piatti e scodelle, fiaschi e bicchieri.

Natura morta con verze e prosciutto macellato Giuseppe De Luca e Ignoti sec. XVIII
coll. Perrone , Catalogo Electa Napoli

Prendono vita, insomma, e si agitano sul presepe tutti gli elementi delle nature morte dipinte dalla scuola romana e da quella partenopea sulle tele del settecento e dell'ottocento. Intorno alle cibarie nascono le leggende, fioriscono gli aneddoti, che farciscono,ad esempio, le cronache sul presepe a Napoli e contribuiscono a tramandare fino ai nostri giorni il tipico impianto scenografico, ricco di quei motivi folklorici per nulla secondari rispetto a quelli religiosi.

Sul presebbio che se frecceca , cioè quel raro e particolare tipo di presepe in gran moda nel settecento nel quale i pastori non soltanto erano semoventi, e quindi se freccecavano , ma addirittura rappresentavano, utilizzando vari canovacci, una vera e propria commedia, era sempre narrata la storia di Carmeniella insidiata dal fornaio. La racconta Luigi Vanvitelli in una lettera inviata a suo fratello Urbano nel 1766, <<il fornaio, che ordinava il pane alla zì Carmeniella, che veniva alla finestra, e quando questa, secondo il costume portava il pane al forno, il fornaio gli faceva delle magnifiche impertinenze. >>

Proprio così, secondo il costume: macinare il grano, impastare la farina, formare il panetto lievitante del crìsceto, portare al forno il pane erano attività comuni ed ordinanti la vita popolare nei vicoli e nei bassi.

Taverna e Maccaronaro
Alessandro e M.Vittoria Colaci,
Napoli stile 800

AIAP Napoli

Queste attività erano tutte rappresentate sul presepe, cosicchè diventa interessante rileggere con uno sguardo diverso le pagine scritte da quei viaggiatori e scrittori di lingua tedesca,come Wolfang Goethe,oltre Philipp Josef Von Rehfues, Friederike Brun, Carl August Mayer, giunti in Italia proprio tra il finire del 1700 e gran parte del 1800. Rimasti incantati dinnanzi al presepe allestito nelle case patrizie o nelle sagrestie delle chiese napoletane, essi si soffermarono a descrivere pure il lavoro degli artisti, che nelle loro botteghe allestivano i pastori, vestivano gli angeli,ma soprattutto modellavano ogni sorta di alimenti.

Bottega di Carni
Laura Valentini e Giuseppe Gaeta, Napoli stile 700
AIAP Napoli

Lì il presepe diveniva lo spazio alto, dove il sacro ed il profano si fondevano fino a guidare l'occhio del visitatore su quello spaccato di quotidiana vita cittadina, in cui un popolo minuto e ciarliero diviene il grande protagonista. Attorno alla natività, ambientata in una grotta fra gli animali, come voleva la tradizione apocrifa o tra i ruderi di un vecchio tempio pagano,magari posto nelle campagne,che costeggiavano l'Appia Antica a Roma o che sovrastavano il monte Erchia a Napoli, come piuttosto volle per primo lo scultore Giovanni da Nola richiamandosi alla dominazione romana in Palestina, si agitava la vita di una irreale Betlemme in cui pullulavano ciabattini, lavandaie, contadini, venditori di meloni e cocomeri, acquaioli, pescivendoli, fornai, macellai, venditori di formaggi. Una Betlemme ricca di osterie, di bettole e di taverne: tante quante, forse 480, ne aveva Napoli, e molte di più la stessa Roma, e tutte affollate, frequentate da avventori assisi intorno al desco o stesi a terra già ebbri con in mano il fiasco vuoto del vino.

Banco del Pesce
Elisabetta Surico, Sorrento cere miniature stile 800
AIAP Napoli

<< Queste case, come templi antichi sono aperte dì e notte, e la sera vi accendono fiaccole che fanno una splendente luminaria. E che cosa contengono esse? l'infinita famiglia dei pomi, delle duracine, dei zuccherini, delle giuggiole, dei frumenti, dei legumi, delle farine; e pine, e uve, e poponi, e mandorle, e noci, e castagne, e avellane… Secchi, sucosi, di colori mille. E tanti son che paiono d'acqua stille.>> descriveva Vincenzo Torelli nel 1840.

Una grande scena di cucina, insomma, che lasciava dire ad Henry Lyonnet, uno scrittore francesce che ha visitato Napoli all'inizio del novecento : << qui la vita sociale a Natale è sospesa. I poveri diavoli rassegnati a morir di fame tutto l'anno vogliono mangiare ventiquattro ore di seguito senza interruzione.>>

Proprio per questo il presepe diventa il teatro in cui si recita la grande fame di un popolo,che nel passato, a Roma come a Napoli, è stata vera fame. Una fame viscerale, che murmura, morde e che, finanche sullo scoglio o nello scarabattolo, non è finzione, mentre il cibo,invece, è sogno!

a cura di
Tommaso Esposito - Medico di famiglia -Napoli